Adesso che ho tenuto il bambino tu mi devi aiutare” – Il buon senso e le eccezioni
Il buon senso e le eccezioni
C’è un film di Totò che si intitola Il Coraggio. Un industriale salva dalle acque un povero disgraziato che vuole suicidarsi e che, il giorno dopo,
si presenta a casa sua con tutta la sua famiglia, pretendendo di essere mantenuto visto che l’industriale gli ha impedito di togliersi la vita.
Parto da questo film per condividere con chi legge alcune riflessioni.
Parto da due storie simili, due ragazze, entrambe rimaste incinte dopo pochi mesi di relazione con un ragazzo, entrambe arrivate a noi
tramite altre persone che desideravano aiutarle a non abortire.
Entrambe hanno deciso di tenere il bambino, entrambe avevano problemi di relazione con il padre del piccolo e con la famiglia d’origine.
Entrambe, a distanza di quasi due anni dalla nascita del bambino in un caso, e di pochi mesi nell’altro, hanno la necessità di essere supportate
e affiancate nell’affrontare le piccole e grandi difficoltà della vita.
IL BUON SENSO E LE ECCEZIONI
La riflessione è nata un pomeriggio, quandouna delle due mi telefona perché ha avuto l’ennesima lite con il compagno e vuole andare via di casa, ma non sa dove. Non ha lavoro, non vuole andare in casa di accoglienza e
non vuole andare dai genitori, che la
ospiterebbero ma con i quali non fa che litigare. Al suo “Non so a chi chiedere, tu mi devi aiutare”, non ho replicato, se non dando la disponibilità ad
ospitarla qualche giorno a casa mia, nell’attesa che sicalmassero le acque ed entrambi tornassero a ragionare in maniera civile.
Ma quel “tu mi devi ” mi ha messa un po’ con le spalle al muro e ha provocato una serie di riflessioni che ruotano attorno a questa domanda: fino a quando una volontaria che aiuta una donna a prendere coscienza del fatto che ha dentro di sé una vita umana è responsabile della donna e del bambino che nasce? Fino a quando dura l’accompagnamento?
Il buon senso mi dice che il rapporto tra la donna e la volontaria non dovrebbe reggersi sul senso del dovere o sul ricatto (“Devi aiutarmi perché io ho tenuto il bambino”). L’esperienza, mia e delle volontarie che conosco, mi dice che in genere c’è un’evoluzione del rapporto:
la maggior parte delle volte, l’accompagnamento durante la gravidanza fino alla nascita del bambino porta ad una crescita della donna, che diventa autonoma
e vive la scelta fatta come una sua scelta d’amore.
Altre volte la donna aiutata durante il periodo critico della scelta, durante la gravidanza rallenta i contatti con la volontaria che le è stata vicino, per poi ricontattarla quando il bambino nasce, per condividere la gioia della nuova vita.
A volte il nuovo contatto accade a distanza di anni, e la mamma si fa viva per confermare la gioia per il figlio accolto o esprimere
riconoscenza per la vicinanza e il sostegno che erano stati così determinanti in un momento cruciale della sua vita.
A volte però, quando le problematiche attorno alla donna sono molteplici e non sono
solo legate all’accettazione del figlio, allora diventa più complesso e più difficile gestire il rapporto senza farsi strumentalizzare.
“POI GUARDO QUEI BAMBINI…”
Non nascondo che a volte faccio fatica. Poi penso a quei bambini che non avrebbero dovuto nascere.
Li guardo, li vedo sorridere, giocare,muovere i primi passi, dire le prime parole, tuffarsi nella vita. E mi dico che sì, sono corresponsabile di quelle vite che in qualche modo ho aiutato a nascere, di quei bambini che non avevano voce e per i quali
ho parlato. Allora tutto diventa più leggero, ritrovo nuove energie e nuove parole da dire, solidarietà sincera e non dovuta.
Grazie a loro si rinforza il senso di quello che faccio e in cui credo.
FRANCA CICCARELLI – MOVIMENTO PER LA VITA DI TORINO